martedì 20 ottobre 2020zona 4

Vuoto di Senso Senso di Vuoto

Studio Largo Porto di Classe

artisti

Lorenzo Bottari, Matteo Giagnacovo, Luca Rubegni, Domenico Ruccia

a cura diLuca Rubegni

INFO

largo Porto di Classe, 8

Dalle 11.00 alle 22.00

sinossi

Quattro pittori che hanno deciso di confrontarsi e di parlarsi, mettendo in mostra le loro riflessioni più intime, riguardo al nuovo tempo storico che stiamo vivendo. Tema cardine: il vuoto e l'assenza.

 

 

descrizione

Lo studio d’arte sito in Largo Porto di Classe n°8 è lieta di presentare, per l’edizione 2020 del Festival Walk- in Studio, la mostra dal titolo “Vuoto di Senso Senso di Vuoto”, con le presenti opere degli artisti Lorenzo Bottari, Matteo Giagnacovo, Luca Rubegni e Domenico Ruccia.

L’anno corrente che stiamo vivendo ci ha condotto ad indagare su diversi aspetti interiori e sociali che ognuno di noi ha dovuto necessariamente rimettere in discussione. L’atmosfera che si è venuta a creare per via dell’esperienza dell’isolamento forzato in spazi chiusi, ci ha spinti ad una nuova riflessione dell’individualità e della soggettività, ponendoci domande forti e complesse, riguardo all’identità che ognuno di noi sceglie di assumere ogni giorno della sua vita, ogni qualvolta si deve diventare partecipi della mondanità sociale.

Ecco allora che durante questo lungo periodo di riflessione può accadere che quattro pittori, quattro soggetti che hanno scelto di occuparsi di estetica visiva analizzando esclusivamente il mezzo pittorico, decidano di incontrarsi e di parlarsi, di discutere in intimità delle loro visioni.

Il leitmotiv cardine di questo incontro sembra, per assurdo, il vuoto, il silenzio, l’assenza.Le ricerche di ognuno di loro prendono in considerazione sempre un determinato aspetto comune, ovvero la muta sospensione del tempo in ogni immagine, la mancanza costante di un qualcosa, fosse anche un disturbo, che possa animare le loro pitture. Tutto si fa fermo, immobile, silente, sospeso in una illusione iconica costante.

Lorenzo Bottari ci catapulta subito nel futuro, in un secolo aleatorio dove la società umana si è spinta oltre il suo limite, dove ha infranto qualsiasi barriera, compresa quella dell’ozono. Le spiagge si affollano di bagnanti, i paesaggi si stagliano forti sulle tele, ma tutto è filtrato da una assenza e, diversamente dal solito, la luce stessa ha cambiato colore. Sopravvivono soltanto il blu ed il rosso, raggi ultravioletti e nature aliene, il tutto continuamente scandito dal continuo silenzio delle immagini. Anche gli esseri umani, oramai diventati quasi ombre, sembrano voler svanire con la natura stessa. Una dispersione cosmica.

Anche Matteo Giagnacovo si concentra sulla natura, sugli elementi e sui paesaggi, che diventano però individui isolati, graffi di segno e colore, pennellate sature e flussi continui di gesti. Lo sbuffare di un vulcano diventa una polaroid di un essere inanimato, come se fosse li lì per prendere vita e voler esprimere un vagito di vita, una parola di consenso. Invece no, tutto rimane congelato nell’attesa, gli elementi della natura si uniscono in una promiscuità di segni, cercano nuove vie di organicità, un’identità rinata che resta in silenzio, nell’attesa che la ciclicità del tempo ritorni a mutare i suoi aspetti.

E questa dimensione sospesa fra il vero e l’onirico sceglie di diventare oggetto nei lavori di Luca Rubegni. Vasi di porcellana cinese, architetture perdute e poi ritrovate, colonne e torri, carte da parati e tappeti orientali, fiori profumati e colorati si mischiano per creare continue scenografie di ambienti inesistenti, dove la presenza dell’essere umano sembra non esserci mai stata, come se le cose fossero nate lì da sole, come se fossero sempre state là, ad aspettare fra i sogni ed i racconti di fiabe antiche, di un tempo che era, di un mondo che è stato.

Ecco che allora questo grande teatro di ambienti, luci, oggetti, istantanee, paesaggi, maschere e figure si concretizza nei soggetti pittorici di Domenico Ruccia. Ogni scatto che imprime il quadro, diventa un rullino di sequenze sceniche liberamente ispirate ad un passato edonistico fatto di ballerine, modelle, cantanti, donne affascinati ed uomini bramosi di sesso e potere. Ogni intimità diventa ambigua, promiscua al punto di confondersi con l’ambiente stesso. I personaggi però si caricano di così tanto simbolismo da assomigliare a marionette, burattini dagli occhi vuoti e sorrisi ammalianti di fredda lussuria. Non esistono, non ci sono mai realmente stati, eppure ci appaiono così familiari, una grande bellezza muta.

Aperti anche su appuntamento.

Studio Largo Porto di Classe

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