Arrivo in studio Banshan e non vedevo l’ora.
Peng Shuai Paolo, giovane artista e curatore della mostra Urban Fringe, mi accoglie all’interno del suo studio, dove l’allestimento della collettiva ha solo parzialmente alterato l’assetto quotidiano dell’ambiente e lo spazio lavorativo abituale. Il percorso espositivo è circolare, da sinistra a destra con una deviazione verso il centro della stanza, dove sopra un lungo tavolo bianco sono sistemate alcune opere di Wang Hao Francesco, uno dei dieci artisti cinesi invitati in occasione della prima partecipazione al progetto Walk-in Studio 2020. Wang Hao, Chen Maomin, Huang Zejian, Yu Chenchen, Jin Xiaolin, Chen Hongtao, Yin Shaoqi, Li Zhuwei, Cao Zhehao, Liang Zhenru e Peng Shuai sono un gruppo di giovani che si sono formati artisticamente in Italia e attualmente lavorano nel nostro Paese. Alcuni di loro vivono proprio qui, ai margini della città di Milano e la collocazione marginale dello studio rispetto all’epitome urbano rappresentativo dello sviluppo avvenuto nel corso del tempo, rappresenta la riflessione centrale e condivisa attraverso cui si sviluppa il concept della collettiva Urban Fringe.
Indagare l’idea di margine o confine, partendo da una prospettiva concreta, il concetto fisico di luogo marginale verso una più profonda stratificazione di senso riguardo la comprensione e la visione dei problemi lasciati dal tempo passato, di un presente irrisolto e un futuro ipotetico. Il dialogo semantico e visivo tra le opere dà voce al linguaggio interiore di ciascun artista. Così ad esempio le installazioni di Zejian sono un collage d’immagini di parti intime di partner casuali, dove le chat d’incontri sono i nuovi fast-food e le opere di Shaoqi raccontano di un rapporto problematico con la tradizione, lo squarcio tra teoria e storia dell’arte classica e la pratica contemporanea. La costruzione del futuro è un’urgenza e le piccole sculture di Liang sono dei prototipi d’installazioni urbane abitative posizionate tra punti di colore, schermi tv e olio su tela e poi Jin Xiaolin realizza una macchinetta degli snack on the go, perché ciascuno di noi ad un certo punto durante il viaggio si ferma per qualcosa.
Qualcosa di dolce o salato e unicamente personale è l’effetto che fa.