C’è ancora desiderio di compiere le imprese, anche per chi compie la prima mostra, si accende la volontà di mostrare il proprio lavoro, e così sotto l’equilibrata cromia della curatrice Ilona Särkkö tre artist* si confrontano sul tema del femminismo. E questo viene svolto attraverso una riflessione sui corpi, come tecnica, sui corpi come spazio domestico, su corpi transumanati, corpi di donna sublimati nella consapevolezza che la battaglia della biopolitica ha sempre riguardato la carne femminile, il corpo della diversità in genere.
Un panorama dove vita è spazialità, intersoggettività cablata, impercettibile simulacro. Pare in questo trittico di rivedere la lezione di Herbart sull’etica kantiana: l’etica non si origina dalla logica matematica, dall’universalità della legge, bensì dal gusto di un valore, ossia dall’estetica. L’estetica è quel processo che mette in relazione gli oggetti e i soggetti e in senso stretto, ma soprattutto in senso plasticamente connotato. Il reale è di per sé un niente, solo attraverso una esperienza semplice, sinceramente estetica, dunque, si è in grado di ricomporre le parti di quello che è. In questo gioco estetico di relazioni il vivere compone la volontà. Questo il compito che queste artiste hanno ereditato dalla pratica del femminismo: la possibilità di ridisegnare una scala di relazioni, la morale come entità sociale e il ruolo del corporeo come una di queste entità. In campo diverse tecniche: dalla stampa al rendering digitale, dalla performance all’objet trouvè.
Passante fermati un attimo in questo studio lungo il Naviglio Pavese, nel complesso di via San Cristoforo 2, qui potrai ritrovare una vaporosa promessa: anche gli archetipi sono soggetti al mutamento.