Al limite con l’inizio dell’autostrada, in via Forlanini 54, La Cattedrale Studio invita alla sosta. Nel deserto della cementificazione un gioco di rifrazione, forse un miraggio, crea una oasi. L’immaginario composto dalla collaborazione tra Chiamenti, Cristiani, Manfredi, Gramegna, Petti accoglie lo spettatore con toni ambrati che pare di essere al riparo da un mondo di una umanità sempre più di corsa, sempre più distanziata.
Questa installazione immersiva e polifonica è grandiosamente guidata da Letizia Mari che ha saputo pescare dalle profondità una compagine di artisti che hanno finemente imparato a giocare senza scherzi. Quando vi è chiarezza di intenti a chi si avventura le imprese riescono con eleganza e così questo ambiente riesce a parlare senza stonature e pur invadendo l’uno lo spazio dell’altro, questi collaboratori hanno fatto un artificio in cui traspare leggerezza, amicizia, complicità, vera bellezza – sembra una magia, un sogno forse, un rimando alle riflessioni più candide di Walter Benjamin, quello di Infanzia Berlinese, quello di Starda a Senso Unico, quello in cui il materialismo storico è vissuto nella sua vivida giocosità, con l’occhio dell’infante che può sdraiarsi su un ventre materno e vedervi una duna assolata, che può rimescolare le sfere nel gioco delle biglie, che ancora si emoziona al tatto d’una pesca, che ancora si stupisce del levitare sebbene sia chiaro all’adulto il trucco, che nello specchio d’acqua non ha ancora bisogno di guardar sé stesso ma leggere l’infinitezza dei segni d’una luce che rimbalza.
Gli artisti qui hanno consegnato una utopia dove il movimento è possibilità di fare e disfare, rimodellare senza alcuna paura di ferirsi, qui hanno davvero saputo, con tecnica salda, rompere gli schemi – allo spettatore la risposta al quesito più difficile: come non desiderare tornare lungo il sentiero che ha portato a questo paradiso?