Carmine Agosto, Ambra Castagnetti, Clarissa Falco, Benedetta Incerti, Ivna Lamart, Giorgia Lippolis, Roberta Riccio, Flavia Sciré, Enrica Sirigu, Leonluca Toro, i bambini di via Santa Teresa
Carmine Agosto, Ambra Castagnetti, Clarissa Falco, Benedetta Incerti, Ivna Lamart, Giorgia Lippolis, Roberta Riccio, Flavia Sciré, Enrica Sirigu, Leonluca Toro, i bambini di via Santa Teresa
a cura diSpazio X - Carmine Agosto, Roberta Riccio
Una mostra che riflette sull'ancestrale paura alla base del gioco di forze che stabilisce la cultura del possesso all'interno del rapporto tra uomo e donna. La progressiva perdita di controllo del "sesso forte", l'indebolirsi dell'istituzione della famiglia patriarcale, l'affermarsi dell'istruzione femminile e la maggiore consapevolezza del proprio corpo da parte delle donne, hanno lentamente gettato le basi per l'ennesima "caccia alle streghe".
CIÒ CHE LA CULTURA SEPARA è una mostra che riflette su quell’ancestrale paura che risiede nel comodo prefissato gioco di forze che si istaura nel rapporto tra uomo e donna e crea la cultura del possesso. La progressiva perdita di controllo e di potere del blasonato “sesso forte”, l’indebolirsi dell’istituzione della famiglia patriarcale, l’affermarsi del grado sempre più alto d’istruzione femminile e la consapevolezza da parte delle donne del proprio corpo e della propria sessualità, hanno lentamente negli anni messo le basi verso l’ennesima “caccia alle streghe”, questa volta però, dal sapore tutto contemporaneo. Avviene sul web, nelle strade, tra le mura di casa tra le stanze più oscure delle sacrestie, sui giornali che si stampano ancora e tra le parole dei politicanti, nei reparti degli ospedali, dietro la scrivania di un’azienda e sui banchi di scuola. La donna è pericolosa, questo è certo. Una genetrix di luce che cova in sé il germe dell’intelletto che protesta, intralcia ed urla. Sparge, quest’essere dalle demoniache fattezze, il microbo velenoso e placido della rivolta, che infetta il mondo sano, dei diritti per tutti, ma un pò meno per le minoranze, che colpisce la buona penisola assopita su un mare inquinato da memorie machiste, memorie che hanno scritto le pagine della storia e della cultura impostaci. Un’educazione devota all’esaltazione del controllo con il suo aggettivarsi rassicurante e protettivo che separa ciò che le sfugge. Questo mondo “piccolo piccolo” contenitore di differenti culture e di differenti realtà, sottende il sacrificio dovuto della donna e si sottrae nel sacrificio in nome di questa, continua nella produzione e la diffusione di immagini stereotipate, modelli e categorie che ne impongono una sottomissione naturale, palesando così una cultura debole che viene sorretta da una base concretamente radicata nella paura dell’alterità. Allora brucia, la strega brucia. Lei controlla la vita, la forza lavoro, la cultura del domani. Usa la sua magia, usa gli elementi della natura perché ne è parte. Come può dunque l’istituzione oggi anestetizzare questa creatura schizzofrenica? Come può proteggersi dal suo occultismo se non ridiscutendone i giovani diritti, ridimensionandola in una cultura eretta su ben saldi rapporti di potere, se non imprigionandola in un’educazione che radica la propria forza nella chiara divisione dei sessi e mansioni annesse, se non strumentalizzandone ancora la sessualità, se non ghettizzandola nell’esaltazione. Così la psicosi contemporanea dell’impotenza colpisce l’istituzione che divora lentamente il suo corpo titanico e non può far altro che rifugiare la propria salvezza nella violenza del quotidiano, nel disperato ed ultimo tentativo di rimarcare un fallato patriarchismo nei contenuti e le narrazioni esposte all’interno delle istituzioni, pubbliche e private. Arde in pubblica piazza e muore lentamente tra le mura domestiche, non riuscendo a spegnere mai del tutto la fiamma della disparità che si alimenta della tradizione, tanto da sacralizzarla.
Brucia, la strega brucia.