Donami un po’ del tuo tempo. Ne farò qualcosa di buono, o di cattivo o non farò nulla. Lo conserverò e lo userò un giorno per potermi dedicare all’ozio, alla noia. Gli elementi fondamentali per l’atto creativo, un atto di pura messa in forma di qualunque materiale o concetto. La forma che si può dare può essere anche quella di un lungo cordone ombelicale, lentamente cucito da una ragazza in abito bianco. Seduta al centro di un piccolo cortile circondato da rampicanti, Drunkenrabbit intreccia con i ferri due fili rossi. L’allungarsi di questo cordone scandisce il nostro tempo. Di fronte a lei, all’altezza del suo viso, anche se non li guarda, ci sono il viso di una bambina e quello di un bambino che aleggiano all’interno di due bianche light-box. Opere di Matteo Suffritti, incisore fotografico che ha smesso da tempo di usare la camera, strumento per lui limitante, per dedicarsi ad altre strategie che lo aiutano a tornare indietro nel tempo della memoria. Suffritti racconta di un album fotografico il cui movimento è azionato da una manovella che chiama in causa, per esistere, una mano, un braccio, un corpo. Sono i corpi, maschili, femminili, androgini, di bambino o di adulto, ad essere i fili che, una volta intrecciati producono delle forme vitali, come quelle nascoste tra le foglie delle piante. Intrecci rossi, prodotti in sette, dieci, venti minuti, a noi donati, una volta che li avremo disfatti e portati con noi. Li useremo come vorremo: guardando le fotografie di anni fa, cercando di ritrovarci, di trovare delle tracce di ciò che siamo. Un intreccio che ogni giorno si fa più fitto, come la vegetazione che potrebbe coprire Drunkerabbit intenta a fare a maglia in un tempo infinito, in compagnia di due giovani compagni che rischiareranno la sua notte.