Quale relazione insiste tra tempo e contaminazione? Quanta cura chiede lo “stare” per portare alla luce, senza timore, tutte quelle assenze che sentiamo presenti? Quanto ci ricordiamo che non esiste presenza senza fisicità? Quanto e quando, invece, siamo più presenti nelle assenze? Quali desideri e paure collochiamo nell’invisibile? Quanto spesso nei gesti quotidiani nascondiamo molto e molto altro? Quanto siamo ciechi? Immergersi nelle opere dello studio di Carlo Bernardini, in via Padova 102, sotto la cura attenta di Isa Helena Tibúrcio, provoca questo turbinio di domande. E sono sufficienti per capire l’armonia che lega i sei artisti: una tensione nella diversità per fissare l’attenzione su ciò che accomuna, un dialogo interessante tra Milano e alcune città del Brasile. Desiderio di contaminazione che già si legge nei diversi mezzi espressivi scelti come linguaggio comunicativo degli artisti. Uno spazio grande che ospita video, sculture dal sapore architettonico, e un’installazione dal gusto raffinato. Opere di dimensioni varie che dialogano perfettamente. Non appena ci si sposta sul piano della significazione, quando si accoglie il non detto, l’eleganza delle opere diventa amara consapevolezza delle contraddizioni della nostra contemporaneità. E allora il Landscape Marble di Ramilson Noronha si tradisce e rivela di essere solamente una riproduzione di immagini satellitari su lastre di polipropilene. Stampe trasformate dalla immaterialità dell’impressione fotografica e riportate alla materialità che le fa leggere come lastre di marmo. Così anche l’effimera luce di Carlo Bernardini dialoga per contrasto con la fisicità della struttura delle sue installazioni ambientali. Fibra ottica che solo nel buio si scopre presente e capace di creare spazi sempre mutevoli, piccoli cambiamenti che solo l’assenza di fretta permette di farci percepire. I video di Nélio Costa, Space Invader e Fragmentos da Memória, lavorano sull’immaginazione e aiutano a vedere oltre il rifiuto e lo scarto: da difetti e strumenti vecchi possono nascere nuovi oggetti con significati rinnovati. Maria de Fátima Augusto con i suoi video, Invisível Cotidiano e Armazém de Imagens, ci porta a Belo Horizonte e lotta per fare emergere situazioni di marginalità e di negata libertà. Ci sono parti di città che non trovano un riconoscimento e, come abbandonati, ci si dimentica dell’esistenza di chi vi abita e lavora. Maria, seguendo il volo di alcuni uccelli, parla di libertà e di prigionia, tema molto delicato per la storia contemporanea del Brasile: cosa vola sopra i nostri occhi? Cosa invece è imprigionato e controllato? Cosa, ancora, rimane nell’indifferenza? Più intimi i video di Célio Dutra, Impressão e Preto Velho na Lagoinha. Raccontano come nella quotidianità molte cose ci sfuggono, e finiamo, così, per cadere in valutazioni superficiali, veloci; altre volte, invece, cose, fatti e incontri ci segnano e lasciano un’impronta in noi. Particolarmente interessante per la capacità di unire presenza e assenza, invisibile e visibile, è il progetto Linea 1 di Giuseppina Giordano. La giovane artista cattura il tempo e blocca la frenesia che avvolge ogni singolo viaggiatore della M1. Ad ogni stazione si ferma e favorisce la contaminazione di piastre di Petri, prima sterili, con i batteri presenti nell’aria. Questo invisibile, sempre diverso, seppur appartenente alla stessa e quasi imperitura routine, ridisegna lo schema della linea metropolitana. Ogni istante le colture batteriche si trasformano e ci mettono di fronte a mutamenti imprevisti che chiedono di essere accolti e trasformati in presenza. Invisibile che, nei colori e nelle forme delle muffe, diventa visibile.