Come un eco proveniente dal passato, l’intimo spazio dell’atelier di Anna Caruso, viene scoperto come luogo di condivisione, offrendo ai visitatori l’opportunità di richiamare alla memoria i primi spazi domestici e “sovversivi” che a partire dagli anni ’60 diedero valide alternative alle sature esposizioni delle gallerie d’arte. Risulta scomodo parlare di ritorno alla pittura anche se l’urgenza percepita nel lavoro di questi artisti vuole individuare nel medium pittorico, oltre che in quello grafico e fotografico, la capacità di superare il tempo, riconoscendo in queste tecniche l’antropomorfismo del pensiero. Se nei piccoli quadri di Lorenzo di Lucido notiamo il tentativo di confondere l’identità dei volti che sembrano essere assorbiti dal gesto pittorico dissolvendone il nichilismo contemporaneo, nell’opera di Anna Caruso le pennellate di colore, graficamente regolari, rappresentano la consapevole cesura operata sul passato. Per Luca Coser il quadro diventa veicolo di una psico-geografia interiore, dove le icone della sua adolescenza riaffiorano nella candida cancellazione dell’Io interiore. L’intrecciarsi di storie personali e familiari, alla più ampia analisi delle problematiche della nostra società iper connessa, chiarifica l’intento della produzione site-specific. Cadere simbolicamente nel vuoto di uno schermo nero può spaventare coloro che non sanno di dover superare il pericolo che si nasconde all’interno delle false comunicazioni. Così non è per i nove artisti di To like or not to be, dai percorsi di vita differenti ma uniti dagli stessi ideali.