Nel settembre del 1955, un gruppo di quattro coppie lesbiche provenienti da ambienti diversi si riunì con l’obiettivo di formare un’alternativa ai bar, nei quali le donne non potevano ballare tra loro senza la minaccia di essere arrestate. Avevano bisogno di estrema segretezza e conseguentemente di un nome. Così quattro incontri dopo si accordarono per “The Daughters of Bilitis”. Il nome proveniva dall’omonima poesia del decadente poeta Pierre Louys che identificava nella protagonista una poetessa saffica. Il nome era stato scelto dalla loro sagacia poiché “Bilitis” significava qualcosa per loro, ma non per un estraneo. Se qualcuno gli avesse chiesto che cosa stessero facendo, avrebbero potuto sempre rispondere “ We belong to a poetry club”. Beyond Beyond si presenta così, con un nome che si infrange ironicamente all’interno della nostra storia dichiarandoci fin da subito la loro posizione. Entriamo e veniamo immersi in una luce blu, evocativa. Attorno a noi la poesia regna. La ritroviamo ovunque, nei film, per terra, sulle pareti. Ma essa, qui, non è solo eco di un passato lontano; ci accorgiamo essere un atto di sopravvivenza, di resistenza. Sì, è così. In sé ha un’anima queer, ambigua, dissacrante e libera da qualsiasi rigida imposizione; un istanteneo ritorno alla naturale fluidità dell’universo nel quale rifugiarsi – nel quale riconoscersi.
Queer è un portale
To a blue unknown, the far edge of what can be seen
(…)
A blue screen
Searching…