Dopo aver sceso una rampa di scale che conduce al seminterrato di un palazzo di Città Studi, ci si trova davanti a una porta assai particolare: non molto alta, di un verde che riporta evidenti segni del tempo, con una maniglia a timone che ricorda quella del caveau di una banca. C’è un lucchetto però, ed è impossibile scorgere ciò che nasconde. Poco male, giusto affianco si apre lo Studio di Classe. Entrando, oltre alle opere dз tre artistз dello studio (Jacopo Ernesto Gasparrini, Alessia Mattarrozzi e Domenico Ruccia) e a quelle dз due artistз ospitз (Matteo Giagnavoco ed Edoardo Manzoni), sono immediatamente visibili scaffali e impalcature, strumenti da lavoro, prove scultoree, oggetti di vario genere. Ma, in fondo alla stanza, ecco una porta simile a quella vista all’ingresso, ma gialla. La particolarità degli infissi è esplicabile alla luce della storia dello spazio: lo scantinato, infatti, in tempi di guerra, fungeva da rifugio antibomba, e solo in seguito è stato lottizzato e adibito all’affitto. Uno spazio chiuso, al riparo dai dettami del mondo di fuori, risulta ottimale per riflettere sulle dinamiche che governano quella vita da cui lз artistз si allontanano temporaneamente, barricatз nel loro laboratorio. Riflettere su ciò che si trova al di fuori della porta blindata significa, per loro, condurre un’opera di decostruzione nei confronti delle narrative che guidano le vite dз più. Dunque, la ricerca smodata del successo e della realizzazione personale risulta svuotata di significato, limitandosi alla produzione meccanica di simboli trionfali, affidata a un’intelligenza artificiale. Allo stesso modo, il paesaggio e il rapporto tra uomo e territorio vengono restituiti senza demarcazioni topografiche o affettive, in una sorta di grado zero dello spazio. Le narrative riguardanti le donne e le aspettative maschili sui loro corpi vengono messe alla berlina; la sublimazione della pratica della caccia viene demolita in seguito allo svelamento della sua tensione primaria, ovvero quella di un animale che desidera la morte di un altro animale; pezzi di natura reclamano una visibilità a loro non concessa, a fronte delle impellenze del progresso. Pertanto, Rifugio offre l’occasione per poter ripensare il mondo che diamo per scontato, partendo dalle manifestazioni visive e oggettuali delle ideologie dominanti.