Nel sottosuolo, e in quella linea di confine che separa il nostro camminare quotidiano da un fermento di energie vibranti, tutto accade, si plasma, muore e germoglia in nuove forme, palesandosi infine in superficie. Così avviene per il processo artistico, di cui percepiamo solitamente solo il risultato finale: l’opera, e la sua condizione esistenziale. Nella casa/studio di Eleonora Gugliotta il sottosuolo perde l’accezione di totale oscurità e incomunicabilità, e diventa spazio site-specific in cui coesistono, mantenendo la propria autonomia, le opere di Eleonora Gugliotta, Athanasios Alexo, Noemi Mirata, Laura Guilda, Mahnaz Seyed Ekhtiary, Vincenzo Zancana, Edvige Cecconi Meloni, Mattia Davide Amico. Capelli, carta realizzata a mano, strutture in ferro e acciaio, dispositivi video, vestiti cuciti a misura d’uomo creano un percorso eterogeneo in cui diverse voci sono chiamate a chiedersi cosa ci sia nel sottosuolo nella sua accezione più Naturale; un sotto-suolo che appartiene tanto alla Natura quanto all’essere umano.
Il movimento discensionale, che guida verso lo studio situato sotto terra, diventa anche un approccio artistico. Sopra lo studio, le energie fluiscono ma vengono interrotte dai richiami dei vicini infastiditi, rintanandosi poi nel livello sottostante. Qui, un ambiente pieno di luce in cui le opere colonizzano l’intero spazio, lo scorrere del tempo è diversamente percepito e i dialoghi costanti creano uno scorrere fluido. Le opere, in quanto forme della superficie, emergono portando con sé la storia del processo creativo.
E così, in questo clima di trasformazione, i capelli diventando texture di interi paesi, la carta diventa una superficie per disegni narrativi e simbolici, le strutture in ferro e acciaio diventano supporto per un paesaggio stanco e fin troppo usurato in ecoflat. L’ambiente viene percepito nella sua totalità, integrando anche le sfaccettature più disturbanti del sottosuolo. Oggetti di uso quotidiano vengono sporcati da capelli aggrovigliati, fili di lana creano delle forme percepibili solo spegnendo la luce principale, mentre numerosi monitor riproducono in loop forme naturali oniriche. Nell’immaginario comune l’ambiente viene inteso come lo spazio con il qualche entriamo in contatto e il terreno sottostante un’oscurità che non prevede interazione. Paradossalmente quello che è maggiormente presente in questo immaginifico sottosuolo è la presenza umana. Tutto all’interno dello spazio mostra la necessità espressiva del contatto, del relazionarsi e di creare nuove Sostanze Ibride, capaci di affiorare in superficie per poi portare con sé il visitatore nella loro realtà sotterranea.