Incomprensibile

di Daniel Dolci

materiaprima

giovedì 7 ottobre 2021

Zone: 9 - Stazione Garibaldi, Niguarda

Alice Mestriner e Ahad Moslemi hanno esposto per tutto il mese all’interno della  stazione del passante Lancetti. In questa gabbia di vetro e muratura stavano le loro  incrostazioni di polvere. L’esposizione si chiama materiaprima (con la minuscola). Diverse opere  erano disposte in uno spazio non troppo grande, quasi più adeguato a vedersi da fuori – dai  vetri che facevano della mostra una vetrina – e dentro al quale la gente che conversava con Alice sembrava offendere, con la sua disomogeneità, un qualche ordine prestabilito degli oggetti. Parevano rovinare, con le loro chiacchiere, la fermezza placida e solenne di questi  agglomerati geometrici fatti coi fondi degli aspirapolvere. Triangoli, quadrati e pentagoni  sono attaccati ai loro simili solo da un lato, sono solidi platonici smontati: come quando da  piccolo o da piccola, piegando una croce di carta e incollandone i lembi ti facevi un dado. C’è  un setaccio. C’è anche un libro e qualcosa che è come la traccia di un procedimento. Nel  libro c’è l’esuvia di un insetto, forse una libellula. Nel libro attaccate alle pagine ci sono tante  bustine di plastica con dentro delle polveri e annotato il loro nome. Ci sono tante scritte che  non riesco a leggere, perché non sono mai stato bravo a leggere la grafia di altre persone.  

Ho parlato anch’io con Alice, le ho anche mostrato una citazione di Guerra e Pace che le è  piaciuta tanto, in cui si è riconosciuta. La metto qui: “Per l’intelletto umano l’assoluta continuità del  movimento è incomprensibile. Per l’uomo le leggi di qualsiasi movimento diventano comprensibili solo quando ne  osserva delle unità arbitrariamente scelte”. Che è un po’ quello che vogliono quando usano la  polvere per realizzare le loro opere, per tutto quello che sta a significare. Ah giusto. Le  composizioni di polvere – mi ha detto – prevedono uno strato interno di zucchero, carburante  per la reiterazione della vita. E quindi le opere si sfaldano nel tempo, ma non è nulla di  strano: la polvere era qualcosa di diverso prima e sarà qualcosa di diverso dopo. È solo la  forma che noi vorremmo eterna – prima fra tutte la nostra, di forma, e la nostra paura di morire – a finire senza troppo clamore, senza spiegare niente. Succedere e basta: questo fa la  polvere. È per questo che si chiama venerazioneMUTANTE (con le maiuscole).  

Ho salutato e sono tornato a casa, ho pensato tanto al silenzio ebete della polvere, quella  sua mancanza di parole che è la cosa che più mi lascia attonito, e a cosa essa avrebbe dovuto  dirmi, se avesse potuto scrivere. Ma era tardi: ero già rinchiuso nelle mie, di parole, ed è una  prigione da cui non si evade facilmente. Insomma. Dio e la polvere – agli antipodi della  nostra scala gerarchica – mi benedicano quando saprò stare sotto i duemila caratteri. Fine.