Alice Mestriner e Ahad Moslemi hanno esposto per tutto il mese all’interno della stazione del passante Lancetti. In questa gabbia di vetro e muratura stavano le loro incrostazioni di polvere. L’esposizione si chiama materiaprima (con la minuscola). Diverse opere erano disposte in uno spazio non troppo grande, quasi più adeguato a vedersi da fuori – dai vetri che facevano della mostra una vetrina – e dentro al quale la gente che conversava con Alice sembrava offendere, con la sua disomogeneità, un qualche ordine prestabilito degli oggetti. Parevano rovinare, con le loro chiacchiere, la fermezza placida e solenne di questi agglomerati geometrici fatti coi fondi degli aspirapolvere. Triangoli, quadrati e pentagoni sono attaccati ai loro simili solo da un lato, sono solidi platonici smontati: come quando da piccolo o da piccola, piegando una croce di carta e incollandone i lembi ti facevi un dado. C’è un setaccio. C’è anche un libro e qualcosa che è come la traccia di un procedimento. Nel libro c’è l’esuvia di un insetto, forse una libellula. Nel libro attaccate alle pagine ci sono tante bustine di plastica con dentro delle polveri e annotato il loro nome. Ci sono tante scritte che non riesco a leggere, perché non sono mai stato bravo a leggere la grafia di altre persone.
Ho parlato anch’io con Alice, le ho anche mostrato una citazione di Guerra e Pace che le è piaciuta tanto, in cui si è riconosciuta. La metto qui: “Per l’intelletto umano l’assoluta continuità del movimento è incomprensibile. Per l’uomo le leggi di qualsiasi movimento diventano comprensibili solo quando ne osserva delle unità arbitrariamente scelte”. Che è un po’ quello che vogliono quando usano la polvere per realizzare le loro opere, per tutto quello che sta a significare. Ah giusto. Le composizioni di polvere – mi ha detto – prevedono uno strato interno di zucchero, carburante per la reiterazione della vita. E quindi le opere si sfaldano nel tempo, ma non è nulla di strano: la polvere era qualcosa di diverso prima e sarà qualcosa di diverso dopo. È solo la forma che noi vorremmo eterna – prima fra tutte la nostra, di forma, e la nostra paura di morire – a finire senza troppo clamore, senza spiegare niente. Succedere e basta: questo fa la polvere. È per questo che si chiama venerazioneMUTANTE (con le maiuscole).
Ho salutato e sono tornato a casa, ho pensato tanto al silenzio ebete della polvere, quella sua mancanza di parole che è la cosa che più mi lascia attonito, e a cosa essa avrebbe dovuto dirmi, se avesse potuto scrivere. Ma era tardi: ero già rinchiuso nelle mie, di parole, ed è una prigione da cui non si evade facilmente. Insomma. Dio e la polvere – agli antipodi della nostra scala gerarchica – mi benedicano quando saprò stare sotto i duemila caratteri. Fine.