Corvetto ospita sinergie artistiche

di Eleonora Savorelli

Macina

martedì 5 ottobre 2021

Zone: 5 - Vigentino, Chiaravalle, Gratosoglio

L’edizione 2021 di Walk-In Studio ospita l’inaugurazione di TreTre, un nuovo studio condiviso e spazio di ricerca, all’interno di Viafarini.work. Lo studio si trova in via Marco d’Agrate 33 a Milano – Corvetto. Sullo sfondo di un’ex-officina, operano dieci artisti ed artiste dalle pratiche ricerche ed eterogenee. L’aposematismo, ovvero la capacità degli animali di cambiare il loro colore per scoraggiare i predatori, raggiunge forme inedite grazie alla pratica di Marina Cavadini. L’interesse per l’attrazione visiva, ciò che conquista tanto da generare una reazione ne3 spettator3 è proprio della pratica dell’artista. Le due opere esposte, create durante la residenza Nida Art Colony in Lituania, incarnano questa dinamica: le forme di due cassette di plastica bidimensionali, ricavate col taglio laser, sono a terra. Le sagome sono rosse, lucide, e a seconda della posizione dello spettatore riflettono la luce, rimandando un luccichio. Il rosso e la lucentezza, assieme ai tagli spigolosi dei pezzi dell’opera, che ricordano pietre dure, attivano l’aspetto seduttivo, attraente, della materia, che induce l3 spettat3 ad una lunga ed attenta visione.        

Le opere di Lucia Cristiani si nutrono di luoghi, che a loro volta offrono storie. La sua pratica trae ispirazione dall’esperienza umana degli spazi: i paesaggi e le città che Cristiani visita diventano spunti fertili per riflessioni, che, di volta in volta, assumono forme differenti. Dato che il cambiamento è parte integrante degli spazi che abitiamo, il mutamento è intimamente insito nella pratica dell’artista. Dove ogni cosa resta, l’opera inedita esposta in occasione dell’open studio, è stata ispirata dal ritorno di Cristiani a Sarajevo, città estremamente cara all’artista, dove ha vissuto per dieci anni. Il luogo che ha spinto l’artista a realizzare la scultura è Vilsonovo, un viale storico della città, caratterizzato da file di tigli. Una via molto antica e sopravvissuta al conflitto degli anni 90’. La sua sopravvivenza è dovuta al significato speciale che questo viale ha per gli/le abitanti di Sarajevo di ogni età: è un luogo legato all’infanzia, i/le bambin3 di ogni generazione si ritrovano qui per giocare, è il luogo dei primi amori adolescenziali, gli adulti amano passeggiare nel viale, e gli/le anzian3 si ritrovano qui. La scultura si compone di volute di radici, dalle quali spuntano dei semi di tiglio galvanizzati in rame: la superfice lucida di questi dettagli è complementare a quella ruvida degli elementi organici. Cristiani contribuisce a rendere eterno il ricordo dei tigli del viale di Vilsonovo, sotto al rame, essi vivranno per sempre.    

La pratica di Lorenzo Lunghi nasce dalle paranoie che il rapporto complicato tra umani ed oggetti ci provoca. Essa si arricchisce di una varietà di estetiche: da quella “DIY” a quelle desunte dal web, di spirazione fantascientifica e bio-hacker. Le suggestioni che attivano la creazione delle opere sono molteplici, dai complotti alle fake-news. Il risultato è un immaginario composito ed eclettico, che restituisce opere create con materiali trovati ed altri sorprendenti, dalle forme a volte giocose, a volte ostili. Le direzioni di Lunghi sono molteplici, i livelli di significato si accumulano, e l3 spettator3 è chiamato ad addentrarsi in questo groviglio di concetti. Le opere esposte ripercorrono le tematiche, e le forme, così come i materiali più cari all’artista: la scultura Burner, creata nel 2018 a patire da un computer, arricchita con altri materiali ed adornata con quattro zampe metalliche di faraona, svela l’aspetto più giocoso della produzione di Lunghi. Poi The caramel eaters e la serie Caramelle nelle quali appare il caramello, materiale ricorrente, che l’artista manomette aggiungendo lo smalto. La presenza del caramello rende le opere soggette al cambiamento: ciò che vediamo ora, non è che una fase della vita delle sculture.

Edoardo Manzoni si fa accompagnare, in questo nuovo spazio, dalla sua personale e affezionata triade: dall’artista, dal cacciatore, e dal mago. Questi tre aspetti si intrecciano ancora nelle opere che Manzoni espone: esse non presentano forme raffinate e colori brillanti, cari alle sue Nature Morte, ma lasciano emergere gli aspetti più processuali e ruvidi, colti nel mezzo delle possibilità. L’artista ci propone nuove opere, trappole che diventano quasi oggetti di culto, che ha creato con materiali gentilmente offerti dal nuovo studio. La pratica dell’artista scaturisce dal mondo rurale, passando per l’aspetto magico del folklore contadino. Il rapporto tra animale – il cane, soprattutto – e l’uomo, la collaborazione che si istaura tra di essi nel momento della caccia, e la violenza che deriva da questa azione sono tematiche che trovano un posto nelle opere dell’artista. Inoltre, parte della sua pratica consiste nel depotenziare gli aspetti più grotteschi e violenti della caccia: così, i cani spariscono dalle immagini lasciando spazio alle loro innocue silhouette, le trappole perdono la loro funzione mortale acquisendo caratteristiche piacevoli. La violenza viene stemperata, e camuffata con l’estetica.

Francesca Migone indaga i luoghi, ne esamina i dettagli, per poi raccontarli tramite installazioni ed oggetti di sua creazione. Le sue analisi comprendono una grande varietà di spazi – dai boschi, alle città, ai porti. È la sua ispirazione a guidarla verso il luogo più adatto. In occasione dell’inaugurazione dello studio TreTre, l’artista espone le sue sperimentazioni tessili, che si mimetizzano nel nuovo ambiente. La composizione rustica delle corde contribuisce a renderle parte integrante del luogo, che ancora mostra tracce della sua vecchia funzione. Queste corde rappresentano una ricerca spaziale, che ha avuto luogo tra il 2018 e 2019, nel porto di Genova, luogo che aveva ispirato l’artista e che l’aveva spinta a creare le funi. Questi oggetti dovevano immergersi nel luogo, sparire e confondersi con lo spazio, per diventarne parte. In occasione dell’open studio, Migone ha deciso di decontestualizzare le sue corde, e di portarle all’interno di questa ex-officina per scoprire cosa lo spostamento avrebbe significato per questi oggetti, quali caratteristiche essi avrebbero acquisito.

L’apertura dello studio TreTre è per Ludovico Orombelli un’occasione per esporre nuove opere, frutto dell’incontro con una nuova tecnica, e farle dialogare con le sue precedenti produzioni. La modalità sperimentata dall’artista è la “stone rubbing”, un’antica tecnica di stampa cinese: la sua particolarità è quella di trasferire nel supporto, non solo l’immagine, ma anche le caratteristiche – venature o imperfezioni – della matrice. L’intervento di Orombelli non si limita all’utilizzo di questo nuovo strumento, ma consiste anche nell’utilizzare, anziché una lastra di ardesia, degli oggetti comuni. Dunque, Piumino con la sua texture a quadri verde si confronta con la piccola tela inedita raffigurante un computer viola, le geometrie e i colori si scontrano, in una silenziosa conversazione.

L’esposizione di alcune ceramiche e un’opera multimaterica create da Francesco Pacelli tra il 2020 e il 2021 inaugurano la permanenza dell’artista nello studio. La sua ricerca non può essere incasellata in una sola tematica e in un solo tipo di lettura da parte del3 spettator3. Gli interessi dell’artista provengono da diversi ambiti – dalla scienza alla spiritualità, dalla realtà quotidiana a situazioni immaginarie. Compito di Pacelli è quello di creare, captare, sinergie favorevoli avvicinando elementi appartenenti alle diverse sfere. Tuttavia, due binomi ricorrenti nella pratica dell’artista sono quelli che uniscono elementi organici ed inorganici, e natura e artificio. Questi temi sono anche analizzati con un’attenzione particolare per i loro futuri sviluppi: secondo le previsioni dell’artista, questi ambiti si assottiglieranno sempre di più, fino ad arrivare alla creazione di nuovi organismi. L’aspetto di incertezza e potenzialità si traduce, nella creazione delle opere, in forme astratte ed indefinite, che rifuggono fermamente da una visione univoca. In questo modo, le forme attivano un meccanismo che spinge l3 osservator3 a trovare soluzioni, e partecipare alla creazione del significato dell’opera. Così, l’ambiguità della forma, e le possibilità del reale si intrecciano nei manufatti di Pacelli, dando vita a soluzioni inedite.

Le tele di Adelisa Selimbasic sono colme di spontaneità, le sue figure femminili sono provocatorie e fiere, libere, indolenti e per nulla dispiaciute di ritagliarsi uno loro spazio. Ogni piega di questi corpi, ogni smagliatura, ogni dettaglio inaspettato ci inorgoglisce: che ci riconosciamo o meno in queste figure, esse ci ricordano di rispettare, e sostenere con ogni mezzo, le nostre peculiarità e strambe bellezze. I colori e i pattern coloratissimi aggiungono vigore all’energia positiva sprigionata dai quadri di Selimbasic. Anche i giovanissimi trovano spazio nella produzione dell’artista. Una coppia di bambin3, ritratti nella tela esposta, con i loro abitini appariscenti e le loro pose pazze e scoordinate ci suggeriscono spensieratezza.       

Le macchine di Nicolò Masiero Sgrinzatto sono sempre accompagnate da storie sorprendenti, precedute da lucide elucubrazioni sugli scontri ed i momenti di frizione della vita quotidiana. I macchinari nascono dalle sue mani, assieme ad altri tipi di oggetti: essi sono sperimentazioni con uno scopo preciso, giochi pericolosi estremamente attraenti. Altro giro, altra corsa è l’ultima avventura di Sgrinzatto: le otto chiavi universali esposte permettono un accesso illimitato all’autoscontro, esserne i padroni significa poter esporsi al conflitto continuo che la giostra offre. La creazione degli oggetti è stata duplice: da un lato, l’artista ha creato quattro chiavi in fero nichelato; dall’altra, un operaio – anonimo – impiegato in una carpenteria pesante ha sottratto e lavorato del ferro per quattro mesi, per poi creare quattro chiavi di ferro grezzo. Il gesto si configura come una protesta per lo sfruttamento al quale è stato sottoposto per anni nel suo ambiente lavorativo. La rivalsa la beffa e il rischio insite in quest’opera sono tanto consistenti quanto le chiavi esposte.       

L’osservazione, e talvolta la critica, dello spazio ritorna nella pratica di Vincenzo Zancana: come gli individui abitano l’ambiente, come lo modificano, che tipo di legami si istaurano tra abitanti e luogo abitato sono gli interrogativi che albergano nella produzione dell’artista. L’aspetto poliedrico della pratica di Zancana, che si compone dell’uso di svariati materiali e di diverse modalità espositive, è trasmesso dalle tre opere che l’artista presenta. A terra, mimetizzata nel pavimento grigiastro, giace Hamburger una piccola scultura composta da tre sottili lamelle in plexiglas, che mostrano la silhouette di una catena montuosa della provincia palermitana. Capo Gallo esplicita una tematica già presente nella precedente scultura, centrale della ricerca dell’artista: l’abusivismo. Il piccolo quadro mostra un insediamento abusivo nella località Siciliana, che l’artista, manipolando la foto, fa scomparire, per restituire al luogo una pace fittizia. Più avanti, un telo, prodotto con una stampa a monotipo, pende dal soffitto; la colorazione casuale è dato dal contatto dell’inchiostro e il PVC. Quest’opera, che a prima vista può sembrare un semplice telo, è in realtà da considerare una tenda: l’analisi dell’artista sui luoghi comprende anche i semplici oggetti d’arredamento, e quello che può sembrare un freddo drappo in plastica, può essere in realtà un’intima analisi sui luoghi personali e segreti, nascosti da complici teli.