StudioScalzo si apre al pubblico come luogo di creazione e collaborazione tra artisti. Al suo interno risiedono numerose identità che si susseguono nei vari angoli del laboratorio, creando un insolito connubio tra opere finite, scartate ed altre ancora in corso di realizzazione. Alle 18:30 si è svolta la performance I FRUTTI PURI IMPAZZISCONO di Antonio Perticara. Il titolo proviene dal testo omonimo di J. Clifford, che dà la chiave di lettura principale dell’azione. Perticara vuole infatti porre l’accento sulla condizione di una singola persona in relazione a quella di una storia plurale. Analizzando il confine tra la nostra percezione della realtà e quella comune. Prende spunto per questa performance dalla
particolare storia della popolazione degli Umbanda, la quale in Brasile ha subito, a causa delle invasioni coloniali, l’influenza di molteplici culture a partire da quella africana, cattolica e degli indigeni provenienti dall’Amazzonia. Queste influenze si ritrovano nei riti sciamanici degli Umbanda e, in particolare, nelle varie stratificazioni di modifiche che sono state apportate ad essi. A queste si aggiungono poi le innovazioni tecnologiche che portarono a sostituire, ad esempio, il fumo dei fuochi con quello delle pipe.
Dopo varie stratificazioni, arriviamo così alla performance di oggi che si propone come una ri-attualizzazione del rito. I performer arrivano in auto e, con il ritmo dello stereo in sottofondo, agitano la birra, dono per gli spiriti, ora analcolica, che viene successivamente sparsa in giro. Il fumo, invece, è quello delle sigarette elettroniche. Partecipiamo così anche noi a questo antico, ed insieme nuovo, rito di guarigione che, paradossalmente, sceglie come suoi mezzi due simboli di dipendenza contemporanei, l’alcol e il fumo. Entriamo successivamente all’interno dello studio d’artista vero e proprio. Il confine analizzato qui diviene invece quello tra il momento espositivo e la realizzazione delle opere, percepire o meno la differenza è compito nostro. Ogni artista ha scelto, infatti, quale modalità di esposizione al pubblico attuare. Di seguito, eccovi raccontati alcuni dei lavori degli artisti presenti all’interno dello studio. Possiamo trovare chi, come Raffaele Greco, ha lasciato intatta la sua postazione di lavoro permettendoci di osservare direttamente i progetti a cui lavora attualmente e quelli passati. Sul suo tavolo vi sono appunti ed immagini che ci dichiarano le sue molteplici fonti di ispirazione e, proprio lì attorno, studi di soggetti e bozzetti vari aiutano a comprendere, almeno in parte, la sua poetica. Ci racconta poi personalmente quali sono i suoi metodi di indagine, come ad esempio per l’opera su tela chiamata Colapesce, ispirata dalla leggenda omonima della sua terra natìa, ma non solo, perché in essa si celano i volti di uomini malavitosi ed una citazione diretta da Caravaggio. Non vi è mai però un’interpretazione univoca ed ogni cosa, ci dice, è aperta a più interpretazioni. Giovanni Blandino, invece, espone Capitalocene Core, ancora in fase di lavorazione, e la serie conclusa Simpathy of Strangers. Si tratta di disegni realizzati a mano con china nera su carta, richiamando inevitabilmente le classiche tecniche di stampa. Le opere sono ispirate alle pratiche di interazione e mescolazione degli enti protocellulari e al testo Chthulucene di Donna Haraway. Alla base del soggetto sta la stilizzazione iniziale di alcune fotografie di muffe, successivamente, la linea ottenuta si sviluppa in maniera centripeta o centrifuga, rivelando così solo alla fine la forma compiuta dell’immagine.
Simile è la scelta di Lorenza Iacobini che ci mostra in questa sede le sue opere sia su tela che a collage. Il filo conduttore è il tema della forestazione urbana, ovvero il reinserimento della natura in spazi cittadini in maniera artificiale. Le sue opere pittoriche sono surreali e dai colori artificiali, guidate da un tipo di immaginazione da lei definito come arbitraria. I collage, invece, trattano la ri-forestazione tramite sovrapposizione. La base sono fotografie di città in macerie (come ad esempio Raqqa o Aleppo) che vengono integrate con inserti presi da dipinti di stile Romantico, aventi come soggetto le architetture in rovina. Si viene così a creare un contrasto / confronto tra le città rovinate dall’uomo, tramite la guerra, e quelle in rovina, a causa del tempo. Fernando Dorico espone un’opera chiamata Bug che si propone come riflessione sulla situazione odierna dell’essere umano. Ispirata dal film “Un uomo che dorme” basato sul libro di G. Perec. Film da cui è tratto il fermo immagine che fa da sfondo alla proiezione, quest’opera vuole far emergere i limiti della società in cui viviamo come i bug portano a galla i limiti della tecnologia. In particolare, l’idea del cortocircuito, simboleggiata dagli spezzoni di film vari dove i protagonisti sono in una situazione alterata, sta proprio a rappresentare nel lavoro di Dorico l’alternativa alla realtà standard della routine quotidiana.