L’Atelier di Veronique Pozzi è un luogo che mi piace chiamare di passaggio; un luogo dove si intrecciano infiniti racconti e risulta impossibile fare ordine tra il caos che questi unendosi l’uno all’altro creano. Ogni piccolo o grande oggetto presente all’interno dello spazio si trasforma in un elemento in potenza, un punto di partenza da cui ragionare nuovi modi di vedere sé stessi, gli altri e più in generale il mondo.
L’atelier di Veronique Pozzi è un ambiente rizomatico, una wunderkammer segreta dove fotografie, elementi di scarto e naturali, pile di dipinti, montagne di libri, pezzi di storia dell’artista e di sconosciuti prendono forme sempre nuove dettate dall’amore per la libertà di lasciarsi trasportare dai momenti della sfera più intima e personale. Questa delicatezza e differenziazione di forme, colori e materiali fanno emergere ancor prima dell’artista, il profilo di una persona piena di umanità che non ha paura della forza e della fragilità delle vicissitudini che il viaggio, in qualsiasi forma esso sia, comporta. Spiccano tra le tele astratte e casuali impreziosite da fili rossi e oro, tra l’inno artistico “Se solo sapessi”, tra i libri d’artista erotici” e i cimeli raccolti nel corso dell’esistenza, i disegni di persone con fragilità che intraprendono con l’artista un percorso sia terapeutico che artistico. Ogni tratto, ogni segno scalfito sulla carta richiama le poesie del libro “Della forza della fragilità” di Marco Mancini nel quale sono riportati i profili lirici di persone con fragilità incontrate dall’autore. L’aspetto più forte che queste opere d’arte sprigionano è la presa di consapevolezza da parte di chi le osserva del fatto che non esiste un solo modo di guardare alla realtà. Dove la società vede una mancanza, Veronique e Marco fiutano una ricchezza; dove il mondo pone dei confini, loro irrompono, dispiegano questa curva e la fanno diventare un elemento di connessione fatto di parole, suoni, immagini, ricordi e possibilità future mai banali.