“Amici”: così sono stati definiti più volte da Lorenzo Gatti, durante una chiacchierata con lui, i colleghi di cui ha ospitato nel proprio spazio le opere. Oltre al padrone di casa, sono Yari Miele, Corrado Levi, Cosimo Filippini e Alberto Mugnaini ad aver appeso una propria opera d’arte. Lo spazio espositivo è una stanzetta in un palazzo Liberty progettato dall’architetto Giulio Ulisse Arata, una vecchia portineria, che ha lasciato posto all’espressione artistica. I primi pezzi sulla sinistra, entrando, sono due piccole tele con stoffa accartocciata di Yari Miele. Ha utilizzato lo stesso grigio per la parte sotto, mentre per quella più “accartocciata” ha preferito altri due toni sempre di grigio. La loro particolarità sta nel loro essere catarifrangenti. Abbiamo giocato a spegnere una luce della sala o utilizzare la torcia del telefono per vedere i diversi effetti che provocavano. L’effetto è dato dal piombo, materiale che l’artista ama molto. Accanto, si trova l’opera di Corrado Levi, l’unico che non ho potuto incontrare, dato che si trovava alla presentazione di un suo libro, proprio riguardo alla serie di cui fa parte il disegno esposto.
“È passato Corrado questa Mattina e ha detto che non voleva essere al centro per non sentirsi al centro dell’attenzione. Così ha abbassato il suo disegno, ottenendo l’effetto opposto a quello che desiderava”. E non posso che dare ragione a Lorenzo Gatti, dato che la prima cosa che ho notato è stata proprio la posizione diversa rispetto alle altre opere, che si trovavano in linea. Carta bianca con segni di pennarello rossi, neri e blu, dove l’artista ha utilizzato il gesto come libertà di espressione, e come ribellione a un mondo che decide sempre come classificarci. Un po’ più a destra (e in su) il quadro scelto da Lorenzo Gatti. Una tela grezza di piccolissimo formato, dipinto con l’acrilico. Non ho colto il titolo, ma mi è rimasta impressa la parola “fagocitosi”: l’idea di un edificio che ospita una cosa bidimensionale, come se stesse mangiando qualcosa, che non è altro che la riproduzione di se stessa. Accanto: una cornice racchiude la fotografia scattata da Cosimo Filippini. Mi ha colpito molto il colore arancione è protagonista, al centro, formando una enorme macchia. Quella macchia, però, è il marchio del destino dato a un povero albero che di lì a poco sarebbe stato abbattuto. A 90° verso destra (sì, c’è un angolo) l’opera del designer Alberto Mugnaini. Un oggetto curioso che non si può dire di design perché non ha una funzione. Sembra di materiale prezioso, ma non lo è. Si tratta di plastica ricoperta di cemento, con al centro un buco che vede nel fondale uno specchio. Curioso e di varia interpretazione. Quindi cosa accomunano tutte queste opere? L’ho detto all’inizio: l’amicizia. Sono tutti artisti dello stesso quartiere, che hanno deciso di esporre insieme senza per forza trovare una poetica comune. Per questo motivo hanno chiamato la mostra “Diversamente fuori fase” e l’altro motivo è che in questo momento, fuori fase, lo siamo un po’ tutti.
Alla destra di questa sala espositiva, si apre una porta che dà sul vero e proprio studio di Lorenzo Gatti. È stata la vera perla della visita. Sono stata letteralmente invasa dalle geometrie. Sculture, quadri, disegni a mano e con Autocad hanno tutti le forme geometriche come filo conduttore. Ma non solo: tele da completare, un tavolo con colori e pennelli… Un enorme ventaglio di carta ha catturato la mia attenzione. “Ultimamente mi sono appassionato alla filosofia. Ho provato a rendere visivamente la struttura de L’etica di Baruch Spinoza”. Io non ci avrei mai pensato, ma una mente come quella di un artista del genere non ha confini.