Vivere a lungo in mezzo alla campagna e osservare la natura può far diventare dei grandi naturalisti. Oppure, come nel caso di Stefano Ferrari, degli artisti che vedono il mondo dal punto di vista di altri esseri viventi... Anche se in maniera un po' contorta. "Riesci a tenere gli occhi aperti sott'acqua?" è il titolo della mostra, pensato a partire dalla condizione sotterranea dello studio in cui lo scultore esprime la sua creatività. La prima opera che ho notato è stata un enorme bruco di ferro snodabile e cavi elettrici appeso di fronte all'ingresso dello studio. Un bruco che nasce da un router e forse non diventerà mai farfalla. Forse morirà prima, o forse non riuscirà a staccarsi da quei cavi, o forse... Ma c'è un suo gemello! Appeso sulla parte perpendicolare c'è un altro bruco, fatto allo stesso modo, che va in una direzione diversa, ma con probabilmente, lo stesso destino. A terra un terzo bruco. Perché a terra? Forse perché è il primo che ha realizzato e invece di essere della serie "No Net", come i primi due che ho notato, fa invece parte della serie "No body". Credo sia scritto così, anche se, unendo le parole, avremmo "nobody" e avrebbe comunque senso dato che si trova da solo. "Si trova lì perché vuole mangiare il bruco che si trova sopra". L'idea di Stefano è quella di creare degli esseri primordiali che possano anche mangiarsi l'un l'altro. Esseri che sono immersi nelle profondità degli oceani di migliaia di anni fa. Il router, però, ci porta anche alla contemporaneità e quotidianità, dalla tecnologia da cui non riusciamo a staccarci.
Nell'angolo dietro al primo bruco, c'è quella che lui chiama un'Arma dolce". Un cavalletto sospeso collegato a una presa. "Perché dolce?" E lì ho fatto un piccolo balzo all'indietro. Da un piccolo telecomando Stefano ha azionato un meccanismo nascosto che spruzza profumo al caramello. "Ho messo il profumo per smorzare il tono aggressivo iniziale. Il cavalletto sembra un'arma in quella posizione". Il mio piccolo spavento iniziale è stato subito ammorbidito dall'arma al caramello che era ben distinguibile anche sotto la mascherina. In questo modo l'artista ha reso vivo ciò che di solito è statico come il cavalletto di un pittore.
Un'altra opera sensoriale è "Se un cobra mangiasse un Koala". Indovinate quale fragranza ha utilizzato qui Stefano? Eucalipto! È ciò di cui si cibano i koala. Un lungo e affusolato tubo metallico è il serpente, un essere strisciante che si mangia un'altra forma di vita. "Mi sono chiesto: di cosa sa questa forma di vita? Di eucalipto ovviamente". Stefano mi anche tenuto una breve lezione sui koala: ho scoperto che non sono la preda di nessuno perché sono tossici... Per via della quantità di eucalipto che ingeriscono. Non lo sapevo.
Bruchi, arma bianca e cobra (con koala in pancia) sono stati tutti realizzati con materiali di riuso. Stefano Ferrari riesce a far diventare arte qualcosa che sarebbe altrimenti finito nelle mani dell'Amsa. Credo di aver intuito il suo scopo: vedere come da delle domande banali che siano anche un po' una sfida (il titolo o la domanda sul koala) si possa provare a dare una risposta attraverso la propria immaginazione e la realizzazione di sculture.
Lo spazio ospita anche tre opere di una collega di Stefano, Francesca Frigerio. Una tela e due lastre di marmo. La tela, vista da lontano, pare sia semplicemente sporcata da bitume gettato sopra. Avvicinandosi, si notano piccole scritte e piccoli disegni che possono essere variamente interpretati dai visitatori. "Sembravano fiori" mi pare che sia il titolo. L'idea è quella di partire dal macro per arrivare al micro ed è chiaro il perché. Le due lastre di marmo, di colori diversi, sono appoggiate a terra, lontane, quasi nascoste sia ai visitatori sia l'una dall'altra. "Oscurare il linguaggio" è ciò che rappresentano le due lastre fredde. Se si osservano, provocano un effetto ipnotico, che ci riporta alla primordialità dei bruchi di Stefano.