Segno assenza e poesia nelle tele di Lorenzo Bottari, Matteo Giagnacovo, Luca Rubegni e Domenico Ruccia.
Come nella tradizione leonardesca in Vuoto di Senso Senso di Vuoto le opere si manifestano attraverso un sapiente uso pittorico. L’uomo contemporaneo ha bisogno di «una nuova teoria di vuoto» suggeriscono Lorenzo Bottari, Matteo Giagnacovo, Luca Rubegni e Domenico Ruccia, i quali sviluppano, ciascuno a suo modo, un nuovo scenario. Vuoto inteso come entità di per sé esistente e non semplice negazione del pieno. Con i paesaggi pandemici premonitori di Lorenzo Bottari – immaginifici e materici al tempo stesso – la visione dello spazio è dirompente nella formazione di una coscienza ambientale. Paesaggi ripresi anche da Matteo Giagnacovo che con una pittura più primitiva e fortemente gestuale, rimanda lo spettatore a una dimensione elementare enfatizzata anche, dall’uso di pastelli/carboncini neri sulla vergine carta. L’autore qui, si fa portavoce di uno spazio intimo, isolato, atteso, eppure assente. La pandemia da Coronavirus non è unicamente riconducibile agli scenari sibillini di nature aliene di Bottari, ma è presente anche nella potenza libidica delle opere di Domenico Ruccia.
Libido che viene generata da un morbo contagioso, dove l’artista con accuratezza rielabora fotografie che affondano le proprie radici all’alba della modernità, nel tentativo di fornire un ritratto quanto più oggettivo della nostra società che – allora come oggi – è divenuta forza mediatica, emblematica del sesso. Nelle pitture di Luca Rubegni si trovano infine, scenografie di ambienti inesistenti che tuttavia rimandano a luoghi presenti, narrando le storie di un «tempo» – il quale si determina come «già stato» (passato) e come «non ancora» (futuro) – in un rapporto costante tra sogno e realtà. Il vuoto diviene quindi la voce interiore dei quattro artisti che non fanno uso di parole, ma che tramutano l’assenza dell’arte in presenza, in segno della poesia che ci mostra la via per la comprensione del nulla.